martedì 22 luglio 2025

Psicologi parenti - perché no.

Oggi vi parlo del perché il codice deontologico vieta agli psicologi di intervenire, fare diagnosi o fare terapia ai propri familiari, parenti o amici stretti. Può sembrare una stupidaggine ma è una cosa molto importante e, per esperienza personale, vi voglio dire che è una questione che va compresa e rispettata perché può portare molto oltre lo scambio di due o tre battute, se una diagnosi la si può chiamare battuta. Cominciamo andando a vedere cosa recita l'articolo 28, perché io sono sempre dell'idea che sapere è meglio di non sapere:

L'articolo riguarda il divieto di commistione tra il ruolo professionale e la vita privata, sottolineando che non devono esserci interferenze tra i due ambiti che possano danneggiare l'attività professionale o l'immagine della professione stessa. Inoltre, l'articolo specifica che è vietato instaurare relazioni significative di natura personale, in particolare affettivo-sentimentale o sessuale, con pazienti durante il rapporto professionale, e che è altrettanto grave instaurare tali relazioni nel corso del rapporto professionale. 


Articolo 28 del codice deontologico degli psicologi italiani recita:

Lo psicologo evita commistioni tra il ruolo professionale e vita privata che possano interferire con l’attività professionale o comunque arrecare nocumento (danno) all’immagine sociale della professione. Costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi diagnostici, di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale, in particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale. Parimenti costituisce grave violazione deontologica instaurare le suddette relazioni nel corso del rapporto professionale. Allo psicologo è vietata qualsiasi attività che, in ragione del rapporto professionale, possa produrre per lui indebiti vantaggi diretti o indiretti di carattere patrimoniale o non patrimoniale, ad esclusione del compenso pattuito. Lo psicologo non sfrutta la posizione professionale che assume nei confronti di colleghi in supervisione e di tirocinanti, per fini estranei al rapporto professionale.


Che vuol dire?

Il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani, mira a proteggere il paziente, garantire l'efficacia del trattamento e a difendere la categoria stessa degli psicologi. 

Il Codice afferma che è una violazione deontologica effettuare interventi diagnostici o terapeutici su persone con cui si intrattengono relazioni significative. 

Questa limitazione si basa sul principio che la relazione personale, soprattutto se affettivo-sentimentale, può compromettere la neutralità, l'obiettività e la capacità del professionista di fornire un sostegno efficace. 


Ma perché?

La relazione pregressa potrebbe influenzare la percezione del professionista, portando a giudizi o pregiudizi che inficiano la diagnosi e il trattamento. 

La commistione tra il ruolo professionale e quello personale può creare confusione e difficoltà nella gestione della relazione terapeutica. 

Potrebbe essere più difficile per lo psicologo mantenere la riservatezza con un familiare o amico, compromettendo la fiducia del paziente. 

La dinamica relazionale preesistente potrebbe portare a tentativi di manipolazione o influenza sulla terapia da parte del paziente o dello psicologo parente. 

Lo psicologo può fornire consulenza e sostegno a familiari e amici, ma non può intraprendere una vera e propria terapia o formulare diagnosi.

La consulenza deve essere limitata a fornire informazioni, orientamento e supporto, senza entrare nel merito della diagnosi o del trattamento. 

È vietato sfruttare la posizione professionale per ottenere vantaggi personali, sia patrimoniali che non patrimoniali

La consulenza deve essere una volta, solo con il familiare che eventualmente chiede aiuto, non condivisa con altri amici o parenti. 


Ma quanto è forte la tentazione per uno psicologo, o per un parente, che sente di dover salvare tutti sempre e comunque, quanto è forte per una persona che pensa di avere un parente malato, consultarsi con fratelli, cugini, amici che magari anche sono di un qualsiasi settore medico, per cercare di confermare la propria teoria, prima di esporla al familiare che, secondo lo psicologo, lo riguarda?

Quanto è forte la tentazione di giustificare questo atteggiamento con un vittimismo che diventa "io volevo solo aiutare, ero in pensiero per lui/lei..." 


Quanto è grave il diffondersi di queste chiacchiere tra amici e parenti se fosse vero? E se non fosse vero? Quanto è difficile vivere per una persona sulla quale è stato gettato il fango del giudizio, pregiudizio, del giudizio sbagliato, quindi falso?

Chi subisce queste vessazioni, perde la fiducia nel mondo, nei parenti, nella famiglia, nelle istituzioni e non vive più, non si cura più, e se poi tutto questo riguarda anche i figli, allora si che anche loro sono in difficoltà, ma per colpa di chi?

Di chi ha sparso la voce? 

Di chi ha fatto finta di niente?

O di chi si è visto trattare come interdetto da medici o parenti e senza una ragione reale?

Io sono filosofo nell'animo e non amo la psicologia, quello che osservo è che spesso le leggi ci sono (come l'articolo 28 del codice deontologico degli psicologi italiani), vanno solo seguite. 


Ma come seguire le leggi se non si è in grado di comunicare con chi ci/si ama? O peggio, se non si è in grado di amare e quindi rispettare le altre persone? E perché poi? Nessuno lo sa mai, perché di solito chi lancia questo sasso nasconde la mano, insabbia la testa e sparisce. 

Ricordate: 

amate o odiate i vostri parenti e i vostri amici ma non li aiutarli necessariamente, non li aiutate se loro non vogliono, parlateci, amateli e parlateci ancora guardandoli negli occhi, ma non li uccidete portando loro nella vostra follia.

Buona estate

Silvia




giovedì 3 luglio 2025

Tornare filosofi

Io sono a favore della filosofia, troppe restrizioni, tecnicismi, esperimenti e giudizi non portano lontano, ci danno l'illusione che portano lontano, ma ci rinchiudono nella paura, nella competizione, nell'essere ciò che non siamo e portano ad una sopravvivenza, che non ha nulla a che fare con il vivere.
La filosofia è lo studio di problematiche fondamentali che sono relazionate all'esistere e riguardano la conoscenza, il comportamento, i valori emotivi e culturali, la ragione, l'istinto, la trascendenza, la nostra mente, il nostro linguaggio.

Amo anche l'antropologia culturale, probabilmente perché all'università ho avuto un professore fantastico, sorrideva, faceva battute, ci insegnava e non aveva paura degli studenti, del giudizio, della prestazione. L'antropologia culturale si occupa delle culture umane nel mondo, di studiare le loro differenze e le loro somiglianze, le tradizioni, le credenze, i linguaggi, le pratiche sociali e i modi di vita, cercando di comprendere come le culture si formano, evolvono, interagiscono tra loro.

Nella nostra follia abbiamo pensato di sminuzzare il cervello umano come se potesse esistere di un pezzetto alla volta. Io amo la Gestalt, la forma e la figura tutto in un unico essere. Posso comprendere che se parlo l'inglese uso una parte del cervello e se faccio un'equazione ne uso un'altra, ma questa conoscenza può rendermi più intelligente? Davvero, immaginatevi a fare il vostro lavoro pensando: 

"mentre con questa parte del cervello scrivo la lettera in inglese alla x ditta, attivo anche la parte opposta del cervello per fare i calcoli di quanto deve pagarmi ma proprio non riesco a ricordare quale parte di cervello attivare per evidenziare le scadenze, eppure mi hanno detto che sono una multitasking, cosa sto sbagliando?"

Da un punto di vista scientifico va bene, ci aiuta a proporre nuove soluzioni, a varcare nuove frontiere, a comprendere chi siamo o cosa siamo ma tutto ciò non ha nulla a che fare con l'intelligenza. Ricordiamo, se siamo scienziati di professione e non di furberia, che quando si passa a un esperimento, bisogna esplicitarlo, di qualsiasi tipo esso sia.

Io sono a favore del pensiero fenomenologico. La fenomenologia osserva i fenomeni così come si presentano alla nostra coscienza, con lo scopo di osservare e comprendere come la nostra percezione li riceve, li elabora, li vive (come facevano gli antichi filosofi), ma nessun fenomeno indotto ha validità scientifica, forse nella medicina si, ma non nell'anima, non nella mente, non nella psicologia. Si osserva come la nostra coscienza agisce e reagisce alle cose senza giudizio, senza preconcetti o pregiudizi, ovvero senza dare per vera una realtà piuttosto che un'altra. Pura osservazione con gli occhi della curiosità e non del giudizio, ma questo è un pensiero per pochi, alla maggior parte della gente piace giudicare, piace vedere il negativo nell'altro, per non fare i conti con se stessi.

Amo la fenomelogia ma non amo il cognitivismo, mi rendo conto che in questo periodo storico il mio pensiero non è di moda, ma vi devo chiedere di accettarlo così, senza giudicarlo. Il cognitivismo è una corrente della psicologia centrato nello studio dei processi mentali e del loro funzionamento. Immaginate di analizzare il vostro cervello come fosse un cervello elettronico per studiarne i processi mentali: la percezione - la memoria a breve termine - la memoria a lungo termine - il linguaggio - il ragionamento logico e come ognuno di questi interferisce con il vostro comportamento. Immaginate di vivere senza il trascendente, senza l'amore, senza i sogni, senza il desiderio, senza poter credere niente altro che alla funzione positiva del vostro cervello.
Se ci pensate il cervello elettronico e tutti i computer nascono dalle osservazioni fatte sul cervello sarebbe un peccato se a furia di desiderare di migliorare i cervelli elettronici stimolassimo i nostri cervelli alla follia, mentre avere un computer a disposizione per lavorare, passare del tempo libero, comunicare e poi chiudere lo schermo e fare una passeggiata in alta montagna o sul bagnasciuga, è un grande lusso. Immaginate in che modo questo può influenzare la vostra vita.

Il trascendente, un altro concetto che si sta dimenticando, perché il trascendente prevede che l'essere sia un pezzo unico e non dei singoli pezzi di puzzle accostati, io ho l'anima scientifica e sono affascinata da questi studi di intelligenza artificiale e li trovo anche utili ma amo anche il trascendente, non posso pensare di vivere senza. Il trascendente è qualcosa che sta oltre la nostra percezione, la nostra conoscenza, oltre il pezzetto che elabora. Il trascendente è qualcosa che c'è ma che non si può spiegare. Un oggetto è una cosa diversa e staccata da me, quindi una parte è percepita in comune con un gruppo di altre persone e una parte no. Quando io guardo una chitarra posso essere sicura che chi mi sta vicino vede lo stesso oggetto, lo condividiamo e per convenzione, ne condividiamo anche il nome: chitarra. Ma poi io guardo la chitarra e mi vengono in mente le dita del chitarrista flamenco che ho ascoltato suonare a Segovia, mentre la dama zapateava e suonava le nacchere ad una velocità che richiamava alla mia mente il cobra visto anni prima in India e mi riporta ai mille colori, ai mille suoni e odori che nella mia vita si sono accumulati nella mia memoria storica, che ricordo a tratti con il sorriso dell'esploratore, a tratti con il magone della donna ferita. Ma cosa vive il mio vicino, che sta guardando la stessa chitarra che guardo io? Glielo chiedo e mi risponde: ricordo che mio padre suonava la chitarra dopo cena quando ero piccolo, musica blues e cantava con una voce profonda, aveva parole di amore e di speranza per me e mia sorella che eravamo poveri, piccoli e impauriti. Lui ci diceva di sognare e di credere e noi lo abbiamo fatto. Ora sono un compositore, guadagno bene, ho una bella casa e la sera, quando sono a casa con la mia famiglia, suono lo stesso blues di mio padre perché è su quella musica che ho trovato la forza di emergere, di essere il migliore, di lavorare e studiare senza mai perdere il sorriso. Trascendente è il nostro istinto, non si può dimostrare ma spesso ha ragione.

Forse il problema con la trascendenza sta nel fatto che la maggior parte delle persone ha bisogno di vivere in un mondo di certezze e nega a se stessa che la certezza non può esistere. Forse viviamo negli anni in cui la maggior parte della gente soffre della sindrome della certezza, perché ha bisogno di vivere in un mondo che sicuramente rispecchia ciò che la sua percezione ha della vita, una gran parte della gente non può accettare il diverso o il cambiamento perché non può vivere nel dubbio, ha bisogno di credere che il mondo è come lo percepisce, esattamente e giustamente uguale a come lo percepisce, oppure sente il peso della responsabilità, della necessità di decidere, di scegliere, di essere se stessi. Ma se noi siamo qua, e grazie a Dio siamo qua, è perché il mondo si è evoluto e dunque è cambiato, speriamo solo che giunga presto il momento in cui cambiare si accompagna a braccetto con scegliere cosa, come, perché cambiare in questo percorso che non può non cambiare.

Nel percorso evolutivo della vita, della vita umana, io credo che noi stessi siamo il fenomeno biologico trascendentale che porta al cambiamento e non possiamo aver paura del diverso e del cambiamento, possiamo solo scegliere cosa vogliamo e dove vogliamo stare in modo cosciente e coscienzioso: dobbiamo scegliere. La vita si organizza e va avanti sulle basi dell' autopoiesi e non si può far finta che l'evoluzione non sia basata sul cambiamento e sull'adattamento. Dobbiamo solo scegliere a che cosa vogliamo adattarci, se a una vita robotica fatta di cattivi pensieri, paure, guerre e fratricidi o a una vita fatta di buone regole, curiosità scientifica, pensiero artistico, sana convivenza tra i popoli e le genti. La tendenza a cadere nel tranello della sindrome da certezza è fortissima, ma bisogna rendersi conto che ogni esperienza di certezza, di verità assoluta, è un fenomeno individuale, sordo all'incontro con gli altri, non è intenzionato a conoscere altri viventi, destinato a creare un mondo di solitudine. Perché io sono nel mio mondo certo e tu sei nel mio mondo certo e nessuno di noi vuole provare a mettere in discussione il proprio mondo e quindi, meglio soli.

La riflessione su se stessi. Guardarsi allo specchio e analizzare se nell'immagine che ci riflette c'è esattamente ciò che crediamo di essere. Il desiderio di conoscere se stessi senza paura di sbagliare o di essere giudicati, è ciò che ci permette di entrare in contatto con il nostro prossimo, riconoscerlo come altro da noi, apprendere dalle diversità tra noi e riconoscersi dalle cose che abbiamo in comune e accettare che ogni nuova relazione porta un piccolo cambiamento per ognuno di noi, nella percezione del mondo comune e del nostro stesso mondo. Riconoscere che questi cambiamenti sono ciò che hanno fatto di noi ciò che siamo. L'autopoiesi è la capacità di un complesso (unico e non spezzettato) sistema vivente, di mantenere la propria unità, integrità e organizzazione attraverso le relazioni e le interazioni tra tutti i suoi componenti. 

Non basta il cervello per vivere, serve anche il cuore, servono gli occhi, le orecchie, le dita delle mani e dei piedi, la colonna e tutto il resto.
Questo il mio pensiero rispetto alla vita, buona estate a tutti. Silvia


venerdì 11 aprile 2025

Un po' di ...gogia! (tra pedagogia e androgogia)

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Che cos'è la ...gogia?

Insegnare ai bambini, agli adolescenti e agli adulti non è la stessa cosa e proprio per questo non si applica la stessa pedagogia, infatti per gli adulti applichiamo quella che oggi viene chiamata "androgogia".

Vi scrivo due righe, in modo che vi sappiate orientare anche voi genitori nella ricerca di un insegnante. Quando si insegna ad una persona adulta, e con un po' di fortuna, anche a qualche adolescente responsabile, si guida una persona responsabile e consapevole della propria formazione, un bambino spesso è costretto, o direzionato, dai genitori e di certo non si sente responsabile, va stimolato quindi verso l'interesse oltre che verso l'apprendimento della materia.  Con questo non voglio dire che con i bambini dovete usare toni alti e bassi, giocosi, allegri e coinvolgenti e con gli adulti potete fare lezioni noiose, monocorde e senza vibrazioni. Voglio solo dire che gli adulti arrivano al corso predisposti a farsi coinvolgere.

I bambini sono molto attratti da vicende e mondi fantastici dove loro possono immedesimarsi con i protagonisti e il movimento li aiuta a vivere queste storie, perdendosi nel loro egocentrismo apprendono giocando e senza stress da prestazione. L'ansia da prestazione sta tornando di moda a mio avviso, sembra quasi che abbia più valore il corsivo o la conoscenza esatta di nozioni temporali e nominative che la formazione di adulti responsabili, attenti, consapevoli e capaci di scelte e responsabilità. Come se una data di nascita di un autore non fosse possibile trovarla su qualche enciclopedia, anzi quasi quasi andiamo a cercare la consapevolezza sull'enciclopedia. Poi ci chiediamo perché torna di moda la violenza. Gli adulti acquisiscono meglio una lingua se questa è vicina alle loro esperienze passate, ai loro desideri e al loro obiettivo, quindi un attrazione molto più realistica, storica, terrena.

Anche gli obiettivi dei corsi sono diversi, gli adulti hanno spinte motivazionali e obiettivi da raggiungere legati alla loro attività professionale, a un viaggio che devono intraprendere, a una ricerca per un articolo ... tutti obiettivi che si possono concordare direttamente con il discente. I bambini, e purtroppo spesso anche gli adolescenti, non hanno obiettivi chiari e precisi, di solito non hanno proprio obiettivi e questi vanno spesso concordati con la scuola o con il genitore e, ahinoi, capita che non corrispondano con gli interessi dei discenti.

Il mio ruolo nei confronti di un adulto è più vicino al mio essere coach, guida di un adulto che approccia ad un percorso di apprendimento in modo consapevole e responsabile, metto a sua disposizione i miei strumenti per farne i suoi, e lo guido verso un suo percorso di apprendimento. Il bambino ha bisogno di un vero Maestro, che lo guida pezzetto pezzetto ad acquisire strumenti non solo linguistici ma anche del significato di comunicazione, di parola, di verbo. In adolescenza avviene di solito, ma non sempre, il passaggio dall'uno all'altro tipo di apprendimento.

Buon lavoro a tutti: professori, genitori e discenti.

lunedì 1 luglio 2024

Torino

Torino is a city of enormous squares. Just a tour of these squares is enough to see how much such a beautiful city has: monuments, attractions, ancient buildings. 
It is no coincidence that Piazza San Carlo is called "The Tea Room of Torino". 
Torino is so Italian in its history, a motherland of work and conflicts between North and South citizens until it finds a possible dimension. It is also so European, with its galleries covered with glass that illuminates them, and the various cafes and restaurants inside reminiscent of the passages Parisien: Galleria Umberto I, Galleria San Federico, Galleria Subalpina. 

The enormous Mole that stands out over the whole city is a grandiose sight that will leave you in awe.
The Egyptian Museum, a seventeenth-century marvel housed in the Palazzo dell'Accademia delle Scienze, is a treasure trove of history and the second most important Egyptian museum in the world after the one in Cairo.

Torino is the city that knew France before starting the Unification of Italy; it knew Napoleon Bonaparte, Vittorio Emanuele I, and Vittorio Emanuele III. It is a city of Celtic origin, razed to the ground by Hannibal and rebuilt by the Romans. 

Rebuilt is an important word when you think of Torino. Nothing stopped it; it always rose from everything, which is a testament to the resilience and determination of its people.

On 17 March 1861, Torino became the capital of Italy, the first capital of the Kingdom immediately after Unification.
Italy was then a Monarchy, so Torino has monuments, buildings, and symbols of an imperial nature.
In 1865, Torino lost the honour of being the capital of Italy. The city is always ready to start again, so it became crucial in under twenty years. Industrial, it promoted electricity, encouraging a fast and entrepreneurial mentality, so it became the promoter of various manufacturing: food, insurance, and petrochemical industries. These industries today promote culture and knowledge by telling their stories and creating museum spaces.

La Cappella della Sindone of Torino, a baroque masterpiece by Guarino Guarini, has been a UNESCO World Heritage site since 1997.

There is a lot to see: Parco Valentino, situated in the green heart of the city; the Royal Museums; the Consolata Sanctuary (the Church of Santa Maria della Consolazione); the Basilica; the Duomo; Villa delle Regine; Piazza Castello, with its typical porticoes; and the Royal Palace, located in the centre of the square.

You have to stay for at least three nights in Torino. Let me know when you want to go, and I'll help you find what you need to sleep and get around to.Please write to me at s.corridoni@gmail.com

Enjoy our industrial city.

Torino

Torino, la città dalle immense piazze. Solo un giro tra le piazze di Torino è sufficiente a vedere quanto può portare con sé una città così bella: monumenti, attrazioni, palazzi d’epoca. Non a caso, Piazza San Carlo è detta “Il salotto di Torino”. Torino così Italiana nella sua storia, madre patria di lavoro e scontri tra i cittadini del Nord e del Sud, fino a trovare una dimensione possibile. Torino è così Europea con le sue gallerie ricoperte da vetri che le illuminano, con i vari caffè e ristoranti al loro interno, ricordano i passaggi parigini, les passages parigine: Galleria Umberto I, Galleria San Federico, Galleria Subalpina. La enorme Mole che spicca su tutta la città, grandiosa.

Il Museo Egizio di Torino, ha sede nell’edificio seicentesco di Palazzo dell’Accademia delle Scienze ed è il più importante museo egizio del mondo dopo quello de Il Cairo.


Torino è la città che ha conosciuto la Francia prima di dare l’avvio all’unità di Italia, ha conosciuto Napoleone Bonaparte, Vittorio Emanuele I e anche Vittorio Emanuele III; una città di origine celtica, rasa al suolo da Annibale, ricostruita dai romani … ricostruita, è una parola importante se si pensa a Torino. Nulla l’ha fermata, è sempre risorta da tutto, un pezzo forte che mostra il carattere deciso degli italiani.


Il 17 Marzo 1861 Torino diviene capitale d’Italia, la prima Capitale del Regno subito dopo l’Unificazione.

L’Italia era allora una Monarchia e, per questo motivo, a Torino si possono trovare monumenti, edifici e simboli di carattere imperiale.

Quando nel 1865 a Torino fu tolto l’onore di essere capitale d’Italia, la città si rimboccò le maniche e divenne in poco meno di un ventennio, una importante città. Industriale, promuove l’energia elettrica favorendo una mentalità rapida e imprenditoriale, così a seguire Torino si fa promotrice di varie industrie manifatturiere, alimentari, assicurative, petrolchimiche. Queste industrie oggi promuovono la cultura e la conoscenza raccontando la loro storia e creando spazi museali.


la Cappella della Sindone di Torino, un capolavoro barocco di Guarino Guarini, dal 1997 patrimonio mondiale UNESCO. 


Parco del Valentino, cuore verde della città, i Musei Reali, il Santuario della Consolata (la Chiesa di Santa Maria della Consolazione), la Basilica, il Duomo, Villa delle regine, Piazza Castello con i caratteristici portici torinesi e il Palazzo Reale, situato al centro della piazza. 


I Musei Reali di Torino sono una della attrazioni più importanti del capoluogo piemontese. Su una superficie di oltre 3.000 metri si snoda un percorso, anzi un vero e proprio tuffo, nella storia di Torino, dell’Italia e del mondo. Al loro interno, i Musei Reali ospitano: l’Armeria Reale, la Biblioteca Reale, il Palazzo Reale, la Galleria Sabauda, il Museo Archeologico, i Giardini Reali e le Sale Chiablese dove si svolgono spesso interessanti mostre temporanee.


Non si può non sostare almeno 3 notti a Torino, ditemi quando volete andarci e io vi aiuto a trovare quanto vi occorre per dormire e girare.

Scrivetemi a s.corridoni@gmail.com 


Godetevi la nostra città industriale

Rome

Rome is the eternal city; it has been described by writers, poets, songwriters, painters, and sculptors for this reason, for the sparkle of the moon that makes us fall in love, for the Tiber with its Isola Tiberina and the Broken Bridge (Ponte Rotto), which have been there since the city's beginnings. The Imperial Forums (Fori Imperiali) and Ostia Antica archaeological site give us the pleasure of walking on the streets built by the ancient Romans, the most skilled builders in the world.


In Rome, you can stop for months, for years, to study art history; everyone has passed through Rome. You can walk, and in every corner you turn, you find yourself in the times of Romulus and Remus, of Caesar, of the Borgias, of Fascism, an immense town that hosts the Vatican City with its churches and the magnificent Vatican Museums.


Speaking of museums, Rome also has many. Just think of the Capitoline Museums, Galleria Borghese, Palazzo Barberini, National Gallery of Modern Art, Ara Paris, and Museum of Civilizations.


When looking at the monuments that never have a single true father and never belong to a single historical period, think of Castel Sant'angelo's history and the Fori Imperiali's splendour, especially during the night with the magical illuminations that point to them. Everyone loves the young and chatty walks in Trastevere, Piazza Navona, showing us the disputes between Bernini and Borromini and the more modern fire eaters, giving us a magic atmosphere while waiting for the old Befana. 


The Roman fountains carry a thousand stories and come from a thousand historical periods; who wouldn't want to bathe on the night of August in the water of the Barcaccia or at the Fontanone or the Trevi Fountain. I would like to, but please don't do it; it would mean destroying them.


Who needs to learn what the Colosseum is like? "Er cuppolone" from the Gianicolo, and on a sweltering summer evening, you go up there to get some fresh air and watch the magic of Rome.

What do Romans love? Being outside, chatting, laughing, joking, hugging each other but not letting anyone think that they are not excellent workers, ours is a large city, rich and poor, cultured and ignorant, complete and never empty, violent and calm but always present and well educated.

Also, it is polite during the significant cultural events it hosts, such as the May 1st concert for workers. The concerts at the Circo Massimo are a great effort, but what a thrill. Remember when, after the pandemic, Måneskin reopened the doors of live concerts right at the Circo Massimo? The summer theatrical shows are where you sit on the big stone steps of the Theater of Ostia Antica or in Caracalla.


Rome must be explored during the day and at night, listened to, and visited in every season. If you tell me what you would like to see in Rome, I will help you find what you need to sleep and get around. 

Please send me an email at s.corridoni@gmail.com. 


Enjoy our eternal city.

Roma

Roma è la città eterna, è stata descritta da scrittori, poeti, cantautori, pittori, scultori … per questo, per il friccico di luna che ci fa innamorare, per il Tevere con la sua Isola Tiberina e il Ponte Rotto, che sono là dagli albori della città. I Fori Imperiali e gli scavi di ostia antica, ci concedono il sapore di passeggiare sulle strade costruite dagli antichi romani, i più abili costruttori al mondo. 


A Roma ci si può fermare per mesi, per anni, solo a studiare storia dell’arte, tutti sono passati per Roma. Potete camminare e in ogni angolo che vi girate vi ritrovate ai tempi di Romolo e Remo, di Cesare, dei Borgia, del Fascismo … una città immensa che ospita la Città del Vaticano con le sue chiese e i magnifici Musei Vaticani.

A proposito di musei, a Roma abbiamo molto anche in questo settore, basti pensare ai Musei Capitolini, Galleria Borghese, Palazzo Barberini, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Ara Paris, Museo delle Civiltà. 


Le trasformazioni nella storia della città, delle persone, di ogni cosa.Tutto attraverso uno sguardo ai monumenti che non hanno mai un solo vero padre e non appartengono mai a un solo periodo storico, basta pensare alla Storia di Castel Sant’angelo, allo splendore dei fori imperiali soprattutto durante la notte con le magiche illuminazioni che li puntano, alle passeggiate giovani e chiacchierone di Trastevere, a Piazza Navona che tra le dispute tra Bernini e Borromini e i più moderni mangiatori di fuoco ci fa compagnia aspettando la vecchia befana romana, le fontane romane portano mille storie e provengono da mille periodi storici, chi non vorrebbe bagnarsi la notte di ferragosto nell’acqua della Barcaccia, al Fontanone o a Fontana di Trevi … vorrei anche io ma per favore non fatelo, significherebbe distruggerle. 


Chi non sa come è fatto il Colosseo, er cupolone visto dal Gianicolo quando la sera estiva e caldissima si va lassù a prender fresco, a guardare la magia di Roma e a fare due chiacchiere tra amici.

I romani amano stare fuori, chiacchierare, ridere, scherzare, abbracciarsi ma che non si pensi che non sono ottimi lavoratori, la nostra è una città grande, ricca e povera, acculturata e ignorante, piena e mai vuota, violenta e pacata ma sempre presente e ben educata.

Educata anche durante i grandi eventi culturali che ospita come il concerto del 1° maggio per i lavoratori, i concerti al Circo Massimo sono una grandissima fatica ma che emozione, ricordate quando dopo la pandemia i Måneskin riaprirono le porte dei concerti live proprio al Circo Massimo? Gli spettacoli estivi seduti sui gradoni del Teatro di Ostia Antica o a Caracalla.


Roma va girata di giorno e di notte, va ascoltata, va visitata in ogni stagione e se mi dite cosa vi piacerebbe vedere a Roma, io vi aiuto a trovare quanto vi occorre per dormire e girare. Scrivetemi su s.corridoni@gmail.com 


Godetevi la nostra città eterna

giovedì 7 dicembre 2023

Taccio, o meglio, mi taccio

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Sempre più spesso sento dire che "mi taccio" non si deve dire perché tacere non è un verbo intransitivo, quando poi lo sento dire da professori di scuola mi si accappona la pelle. Esistono professori che non tollerano i DSA, li trattano come imbroglioni e poi, parlano di verbi come fossero pesce che si vende al mercato al peso, con rispetto per i pescatori.

Riporto direttamente dal sito de la Crusca la differenza tra Taccio e Mi Taccio e chiedo gentilmente, a chi di dovere, di tacere o pensare prima di parlare:

L’azione espressa dai verbi transitivi pronominali non ricade direttamente sul soggetto, ma rimane nella sua sfera d’influenza; il pronome atono non costituisce l’oggetto ma un complemento indiretto (per es. mi chiedo se fosse la cosa giusta; mi lavo le mani). In questi casi il pronome rappresenta un complemento di termine, il complemento oggetto è espresso e indica ciò che nell’azione si svolge nella sfera del soggetto.


Nei verbi pronominali intensivi, invece, il pronome non è indispensabile: non modifica il significato del verbo, è usato soltanto per enfatizzare l’intensità (anche emotiva) della partecipazione del soggetto all’azione (per es. mi bevo un bicchiere di birra). L’italiano ricorre a quest’uso per esprimere le funzioni di una diatesi, quella media, assente nella nostra lingua (ma presente in altre, per esempio il greco). La diatesi media indica intatti “una più intensa partecipazione del soggetto all’azione, che resta nella sfera del soggetto stesso” 


Tacere deriva dal latino tacēre, che poteva essere sia transitivo sia intransitivo. I principali dizionari italiani registrano tanto l’uso transitivo quanto l’uso intransitivo di tacere; il GDLI e il GRADIT qualificano tacersi come intransitivo pronominale.


L’oscillazione dell’uso tacere/tacersi è molto antica e ben presente nella lingua letteraria: abbiamo esempi di tacersi, tra l’altro, in Bono Giamboni (Fiore di rettorica: “Anche mi taccio la codardia che facesti quando fosti gonfaloniere”)


In conclusione, le forme taccio e mi taccio sono da ritenersi entrambe corrette, ma nell’uso attuale la prima predomina largamente, mentre la seconda sembra un arcaismo, volutamente esibito.


Mi pare di capire che serve un'alta conoscenza della lingua italiana per usare tacersi al posto di tacere, e qui mi taccio.

https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/rispondo-e-poi-taccio-o-mi-taccio/1178

sabato 2 dicembre 2023

Parole: dire, amare, baciare

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La parola. In fondo in fondo, noi siamo frutto delle parole. 

Ho iniziato questo blog parlando di libri per bambini, di fantastici albi illustrati, di parole. 
Ho proseguito parlando di apprendimento linguistico, che avviene attraverso le parole, che formano le storie. Quelle vere e quelle inventate.
Le parole, dipende come le pronunciamo, come le raccontiamo, come le ascoltiamo. 
Qualche volta ho accennato al fantastico mondo del teatro, citando anche qualcosa: parole. 
Ho parlato dei miei pensieri, del mio modo, del mio metodo educativo. Tutto, proprio tutto, attraverso le parole.
Sono le parole che coinvolgono, che attirano l'attenzione, che contraddistinguono un pensiero da un altro. 

Dietro tutte queste parole c'è un piccolo segreto del quale non si parla mai, un filo rosso, un tratto distintivo che lega un pensiero all'altro, anche quando sembrano slegati, anche quando sembrano trattare argomenti diversi. 
Dietro tutte queste parole ci siamo noi, le persone, consapevoli oppure no, ma comunque tutte persone che si mettono in luce, o in ombra, attraverso le parole guidate dalle personali intenzioni. 
Ebbene si, questo è il mio credo. 
Dietro ogni parola c'è un'intenzione in luce e una in ombra, quando si è fortunati coincidono. 

Spesso, troppo spesso, si mente a se stessi sulle proprie intenzioni, sembra quasi un cercare già la giustificazione per liberare l'intenzione in ombra. 
Le intenzioni sono come le passioni, accomunano le persone ma le passioni si condividono a voce alta, le intenzioni a voce bassa. 
Che meraviglia quando scopri le tue stesse intenzioni e le prendi in mano, le comprendi, le scegli o le riponi. 
Che intesa quando le liberi e condividi con qualcuno, si sente subito l'intimità del segreto.

Segreto fino ad un certo punto, perché poi quello che succede è che passioni e intenzioni, sono strettamente correlate alle emozioni, le quali sono come le malattie esantematiche, si trasmettono anche senza volerlo, con un gesto, con uno sguardo, con l'inclinazione della testa o dell'angolo della bocca, con la direzione del piede o con un brivido improvviso. 

Ecco che le parole sono il tratto distintivo tra l'uomo e la bestia. Se conosci le parole sai dire quando stai male, sai farti curare da un medico, sai farti aiutare da un avvocato o da un commercialista, sai ascoltare e domandare a un professore, sai parlare ad un amico o a un nemico.

Le parole distinguono anche le persone che vivono nell'amore, da quelle che vivono nell'odio. Le persone curiose e vive da quelle apatiche e appiattite. 
Le parole molto spesso sono pensiero poetico, artistico, creativo. 
Un ponte tra un pensiero e un altro, un legame tra le esperienze, tra le conoscenze, tra i desideri.

Buone chiacchierate a tutti
Con amore
Silvia

giovedì 23 marzo 2023

L'apprendimento è un percorso di vita e non un metodo

Dove nasce l'insegnamento delle lingue? Socialmente nasce dalla esigenza più o meno viva, in base al periodo storico, di comunicare con altre popolazioni. Non solo nasce dall'esigenza di comunicare, ma dal desiderio di farsi comprendere e di comprendere. 

Didatticamente? 

Didatticamente sono stati i filosofi i primi a parlare di insegnamento (o apprendimento), poi ciascuno ha preso la sua via e per le lingue sono arrivati i letterati che studiavano le lingue nobili, poi diventate antiche: il latino, il greco antico, l'aramaico. Anche in questo caso poi si sono divisi i compiti, chi studiava l'evoluzione delle parole e delle frasi ad esempio da un punto di vista fonetico (i filologi), quante volte ci siamo chiesti come mai alcuni usano PH e alcuni usano F per emettere lo stesso suono? Chi studia spagnolo ha di certo notato che le parole che in spagnolo terminano in DAD, spesso in italiano terminano in TÀ. Come sono avvenuti questi cambiamenti, chi discende da chi? Chiaramente si rimane in ambito antico in questo caso. Altri, i linguisti, studiavano la struttura della lingua in modo scientifico, la grammatica è il loro pane quotidiano e nessuno conosce una lingua se non ne conosce la grammatica, secondo loro. Più il meccanismo del globalismo avanzava, più ci si rendeva conto che la grammatica di una lingua non è sufficiente a comunicare, a questo punto si comincia a studiare diversi metodi di insegnamento e arriva la glottodidattica, ovvero la scienza della didattica della lingua. Per parlare di metodi di insegnamento, bisogna riflettere sui metodi di apprendimento, a questo punto nasce la riflessione metalinguistica, ovvero la riflessione sulle capacità innate di ciascuno di apprendere, scopriamo che sono tante e diverse, una grande rivoluzione che si accorge dei disastri indotti in quelle persone alle quali si pensava di plasmare il cervello attraverso l'insegnamento (in sendo educativo e positivo, pensavano) per poi accorgersi che, in realtà, l'apprendimento dipende dal tipo del soggetto che apprende e, ovviamente, dalla grandezza del maestro capace di diversificare la sua metodologia, ovvero la sua attitudine. In questo periodo sentiamo parlare di cambiamento, non più memorizzazione, grammatica, regole a memoria e induzione del comportamento (finalmente!), ma creatività, stimolo, curiosità, dialogo, riflessione. Se i nostri antichi letterati avevano lasciato la via lenta della riflessione dei filosofi, arrivando piano piano alla via della regola senza riflessione e della velocità dei linguisti, piano piano ci si sta di nuovo rivolgendo alla lentezza, alla riflessione dialogica con un pizzico di creatività e digitalizzazione (per rispetto della nostra evoluzione). A questo punto siamo arrivati a valutare le diverse modalità di apprendimento dei singoli studenti, i cosiddetti DSA. Che non sono scimmie incapaci di proferire parola o di pensare; al contrario sono persone, forse un po' vivaci e allegre (in fondo vivere è bello), estremamente intelligenti che sviluppano un canale piuttosto che un altro, anche se tristemente alcuni ancora li considerano di seconda classe. 

Ma in fondo di che ci meravigliamo? Ci sono persone che amano più gli animali che le altre persone, dicono perché gli animali sono più buoni e certamente giustificando con la loro inferiorità mentale il fatto che a volte aggredisscono o mordono ferocemente le persone, o i gatti o altri animali, con rispetto parlando per gli animali, perché anche loro meritano di vivere dignitosamente ma far vivere un cane o un gatto da uomo? Vi piacerebbe vivere da cane o da gatto, dovendo reprimere voi stessi? Quando chiedete al vostro cani di venire a tavola con voi, vi siete chiesti se voi vorreste mangiare nella ciotola del cane stando a quattro zampe? Qui sfociamo nel dibattito tra amore - possesso - egoismo ma non è il post adatto.

L'ultima riflessione degna di nota, soprattutto rispetto agli evoluti DSA, riguarda il fatto che a dispetto di quelli che pensano che il DSA ha un malfunzionamento cerebrale, inteso proprio come incapacità, pensate che un DSA, con bravi professori, può laurearsi e diventare scienziato, chirurgo, avvocato, addirittura premio nobel; al pari di un non-DSA (che sembra abbia l'accezione di normo-dotato) può rimanere ignorante, incapace di scrivere una lettera all'agenzia delle entrate, incapace di fare due calcoli a mente ma anche con la calcolatrice, incapace di apprezzare un viaggio o un'opera d'arte se posto in mano a professori incapaci e incompetenti. Se riflettete su questo capite che l'insegnante assolutamente non può cambiare il carattere, l'indole e il modo di apprendere di un ragazzo, ma può fare la differenza nella sua vita, ancora una volta l'arduo compito del professore di arrivare al cuore di ongi studente, con amore si intende, anche se punire, mettere a tacere e stimolare è più a portata di mano.

A questo punto vi parlo del mio metodo di insegnamento, visto che voi che mi seguite lo fate per ciò che insegno, altrimenti vi annoiereste a morte. Sicuramente il mio metodo di insegnamento ha origini nell'approccio formalistico perché da là venivano i miei professori.

Ma quella gocciolina lasciata da quella signora che in 1^ elementare veniva a scuola il sabato e ci diceva: con me fate due chiacchiere in inglese, roba semplice. 
La lingua, la grammatica, la studierete a partire dalle scuole medie con veri prof. di inglese.
Era là che il cambiamento nasceva.

Poi, quelli della mia generazione, siamo passati per la naturalizzazione dell'apprendimento. Roba meno semplice per l'insegnante, che doveva scender di cattedra e stabilire con i discenti una relazione linguistica: un dialogo. Un dialogo dapprima guidato, che inducesse grammatica; poi aperto, che la grammatica la si intuisse.

Così via, fino ai metodi del canale multiplo, ai viaggi di studio, agli scambi di opportunità.
Ma c'è ancora qualche persona vecchio stampo che mi dice di no, che bisogna studiare la grammatica per imparare la lingua, altrimenti nemmeno si riesce a parlare, ovviamente molto dipende dal discente, si può parlare senza sapere la grammatica, scegliendo un posto di lavoro dove non serve saper parlare correttamente, senza accenti e senza errori. Ad esempio un meccanico non è costretto a studiare dizione, mentre un doppiatore che non conosce la dizione difficilmente lavora, ma non è costretto a conoscere le forze meccaniche.

Tornando all'argomento principale, a mio avviso, tutti questi metodi e credenze pedagogiche sono legate a un sottile, inspiegabile, filo invisibile: la relazione positiva tra un docente e il suo discente, inevitabilmente se stessi, i propri confini, la consapevolezza dell'essere e la scelta responsabile di ciò che si fa e si dice, almeno quando si insegna. Sicuramente se il percorso di apprendimento è positivo, è anche di successo, altrimenti è finalizzato a superare lo scoglio degli anni scolastici e spesso decade appena lasciate le aule. 

Questo il mio invisibile percorso di formazione umano-pedagogica. 
Buona apprendimento a tutti.
Con affetto anche a chi mi critica.
Silvia