mercoledì 13 luglio 2016

Approccio bilingue all'apprendimento della lingua. Pensieri controversi e favorevoli

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Lo scambio avuto ultimamente con una madre che ad un mio post sul bilinguismo mi ha scritto che è pubblicità occulta mi ha fatto riflettere. Mi hanno sempre criticato per essere la persona più trasparente del mondo e quindi non mi sento di rispondere né prendere in considerazione l'inappropriato uso della parola "occulta".
Avevo sei anni quando dissi a mia madre che avrei studiato le lingue e non credo ci potesse essere a quell'età un secondo fine se non il piacere di credere che parlare più lingue sia bello, costruttivo, divertente e generi autostima (semplicemente avevo un'amichetta greca e mi seccava non capirla bene quando mi parlava), e così ho fatto.
Piuttosto mi sono chiesta perché tanto astio, o scalpore, o indignazione rispetto al post e ho scoperto che l'approccio bilingue all'apprendimento della lingua straniera non è una scoperta recente, infatti il metodo del Format Narrativo della Prof.ssa Traute Taeschner che io uso per insegnare ha una ricerca trentennale alle spalle.
Allo stesso modo ritengo che leggere insieme al proprio bambino sviluppi relazioni positive e abilità cerebrali notevoli (non è un'idea mia, sappiamo bene che Nati per Leggere in questo sono maestri) e dunque io propongo di leggere con i bambini, con i propri bambini, anche in lingua.

Con ogni probabilità si è presentato il problema del bilinguismo ad ogni movimento nomade/migratorio verificatosi nella storia e forse la possibilità che i romani davano ai popoli conquistati di continuare ad usare la lingua madre e mantenere le proprie tradizioni, ha fatto dell'Impero Romano, il più grande impero del mondo.
Alla fine del XIX secolo si pensava che i bambini che crescevano bilingui non raddoppiassero il loro sapere ma piuttosto lo dimezzassero.
Addirittura negli anni '20 del XX secolo qualcuno ha parlato di sviluppo di ritardi mentali a causa del bilinguismo.
Solo negli anni '60 si è cominciato a prendere in considerazione gli effetti positivi del bilinguismo sullo sviluppo cognitivo del bambino, e quindi del futuro adulto. È facile ipotizzare come e perché, forse, le zone di confine lo amino di meno, soprattutto quelle zone che hanno vissuto forti scontri in periodi di guerra.

Certo la domanda a questo punto sorge spontanea: ma che vuol dire essere bilingui? È bilingue colui che apprende una seconda lingua in modo corretto e con una tale padronanza da non sbagliare quasi mai un vocabolo, neppure quando sceglie il vocabolo per dare la giusta sfumatura, ha un accento perfetto e una dizione da far invidia ai reali ma sua madre non ha mai parlato con lui la seconda lingua e nemmeno il padre, forse uno dei nonni e tutto il resto è fonte di studio? Oppure è bilingue colui che apprende la lingua dal naturale contatto con la madre (e nella relazione affettiva con la madre perché, io lo ribadisco sempre, è fondamentale ricordare che è nella relazione che si sviluppa il cambiamento) compreso di errori grammaticali, difetti di pronuncia e uno smodato uso di modi di dire comuni al mondo? Per correttezza e chiarezza vi riporto un articolo nel quale viene spiegato cosa significa per Hocus&Lotus il termine Bilinguismo e vado avanti con le mie riflessioni.

A dispetto di quanto sopra riportato voglio espormi e condividere la mia riflessione sul fatto che semplicemente un approccio bilingue all'apprendimento della seconda, o terza, lingua straniera in età precoce agevola il bambino nell'apprendimento della lingua e sviluppa notevolmente alcune aspetti dell'attività cerebrale, al pari dell'apprendimento precoce della musica, o della matematica, o delle arti ma è fondamentale ricordare che non si agevola un bambino se si cerca di insegnare lui tutte queste cose prima dei sei anni. Dunque, normalmente quando parlo di bilinguismo io mi riferisco alla modalità di apprendimento della seconda lingua - consapevole del fatto che ci sono anche aspetti storico-socio-culturali dietro ma che non sono per me di primaria importanza - e soprattutto mi rivolgo a coloro che scelgono il bilinguismo come materia preferita, rispetto alle altre sopra citate. Un po' come quando si sceglie lo sport del bambino, sicuramente quello che apprende a 3 anni rimane nel fisico e cresce nel cuore ma non si possono insegnare tutti gli sport prima dei 6 anni. L'unica vera cosa che bisogna coltivare con tutti, ma proprio tutti, i bambini da sempre e mantenerla viva nell'arco della vita intera è la relazione amorevole e positiva che genera fiducia e autostima, al latere si sceglie una materia preferita e uno sport di partenza.
In questi termini io parlo di approccio bilingue all'apprendimento della seconda o terza lingua straniera.

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