giovedì 3 luglio 2025

Tornare filosofi

Io sono a favore della filosofia, troppe restrizioni, tecnicismi, esperimenti e giudizi non portano lontano, ci danno l'illusione che portano lontano, ma ci rinchiudono nella paura, nella competizione, nell'essere ciò che non siamo e portano ad una sopravvivenza, che non ha nulla a che fare con il vivere.
La filosofia è lo studio di problematiche fondamentali che sono relazionate all'esistere e riguardano la conoscenza, il comportamento, i valori emotivi e culturali, la ragione, l'istinto, la trascendenza, la nostra mente, il nostro linguaggio.

Amo anche l'antropologia culturale, probabilmente perché all'università ho avuto un professore fantastico, sorrideva, faceva battute, ci insegnava e non aveva paura degli studenti, del giudizio, della prestazione. L'antropologia culturale si occupa delle culture umane nel mondo, di studiare le loro differenze e le loro somiglianze, le tradizioni, le credenze, i linguaggi, le pratiche sociali e i modi di vita, cercando di comprendere come le culture si formano, evolvono, interagiscono tra loro.

Nella nostra follia abbiamo pensato di sminuzzare il cervello umano come se potesse esistere di un pezzetto alla volta. Io amo la Gestalt, la forma e la figura tutto in un unico essere. Posso comprendere che se parlo l'inglese uso una parte del cervello e se faccio un'equazione ne uso un'altra, ma questa conoscenza può rendermi più intelligente? Davvero, immaginatevi a fare il vostro lavoro pensando: 

"mentre con questa parte del cervello scrivo la lettera in inglese alla x ditta, attivo anche la parte opposta del cervello per fare i calcoli di quanto deve pagarmi ma proprio non riesco a ricordare quale parte di cervello attivare per evidenziare le scadenze, eppure mi hanno detto che sono una multitasking, cosa sto sbagliando?"

Da un punto di vista scientifico va bene, ci aiuta a proporre nuove soluzioni, a varcare nuove frontiere, a comprendere chi siamo o cosa siamo ma tutto ciò non ha nulla a che fare con l'intelligenza. Ricordiamo, se siamo scienziati di professione e non di furberia, che quando si passa a un esperimento, bisogna esplicitarlo, di qualsiasi tipo esso sia.

Io sono a favore del pensiero fenomenologico. La fenomenologia osserva i fenomeni così come si presentano alla nostra coscienza, con lo scopo di osservare e comprendere come la nostra percezione li riceve, li elabora, li vive (come facevano gli antichi filosofi), ma nessun fenomeno indotto ha validità scientifica, forse nella medicina si, ma non nell'anima, non nella mente, non nella psicologia. Si osserva come la nostra coscienza agisce e reagisce alle cose senza giudizio, senza preconcetti o pregiudizi, ovvero senza dare per vera una realtà piuttosto che un'altra. Pura osservazione con gli occhi della curiosità e non del giudizio, ma questo è un pensiero per pochi, alla maggior parte della gente piace giudicare, piace vedere il negativo nell'altro, per non fare i conti con se stessi.

Amo la fenomelogia ma non amo il cognitivismo, mi rendo conto che in questo periodo storico il mio pensiero non è di moda, ma vi devo chiedere di accettarlo così, senza giudicarlo. Il cognitivismo è una corrente della psicologia centrato nello studio dei processi mentali e del loro funzionamento. Immaginate di analizzare il vostro cervello come fosse un cervello elettronico per studiarne i processi mentali: la percezione - la memoria a breve termine - la memoria a lungo termine - il linguaggio - il ragionamento logico e come ognuno di questi interferisce con il vostro comportamento. Immaginate di vivere senza il trascendente, senza l'amore, senza i sogni, senza il desiderio, senza poter credere niente altro che alla funzione positiva del vostro cervello.
Se ci pensate il cervello elettronico e tutti i computer nascono dalle osservazioni fatte sul cervello sarebbe un peccato se a furia di desiderare di migliorare i cervelli elettronici stimolassimo i nostri cervelli alla follia, mentre avere un computer a disposizione per lavorare, passare del tempo libero, comunicare e poi chiudere lo schermo e fare una passeggiata in alta montagna o sul bagnasciuga, è un grande lusso. Immaginate in che modo questo può influenzare la vostra vita.

Il trascendente, un altro concetto che si sta dimenticando, perché il trascendente prevede che l'essere sia un pezzo unico e non dei singoli pezzi di puzzle accostati, io ho l'anima scientifica e sono affascinata da questi studi di intelligenza artificiale e li trovo anche utili ma amo anche il trascendente, non posso pensare di vivere senza. Il trascendente è qualcosa che sta oltre la nostra percezione, la nostra conoscenza, oltre il pezzetto che elabora. Il trascendente è qualcosa che c'è ma che non si può spiegare. Un oggetto è una cosa diversa e staccata da me, quindi una parte è percepita in comune con un gruppo di altre persone e una parte no. Quando io guardo una chitarra posso essere sicura che chi mi sta vicino vede lo stesso oggetto, lo condividiamo e per convenzione, ne condividiamo anche il nome: chitarra. Ma poi io guardo la chitarra e mi vengono in mente le dita del chitarrista flamenco che ho ascoltato suonare a Segovia, mentre la dama zapateava e suonava le nacchere ad una velocità che richiamava alla mia mente il cobra visto anni prima in India e mi riporta ai mille colori, ai mille suoni e odori che nella mia vita si sono accumulati nella mia memoria storica, che ricordo a tratti con il sorriso dell'esploratore, a tratti con il magone della donna ferita. Ma cosa vive il mio vicino, che sta guardando la stessa chitarra che guardo io? Glielo chiedo e mi risponde: ricordo che mio padre suonava la chitarra dopo cena quando ero piccolo, musica blues e cantava con una voce profonda, aveva parole di amore e di speranza per me e mia sorella che eravamo poveri, piccoli e impauriti. Lui ci diceva di sognare e di credere e noi lo abbiamo fatto. Ora sono un compositore, guadagno bene, ho una bella casa e la sera, quando sono a casa con la mia famiglia, suono lo stesso blues di mio padre perché è su quella musica che ho trovato la forza di emergere, di essere il migliore, di lavorare e studiare senza mai perdere il sorriso. Trascendente è il nostro istinto, non si può dimostrare ma spesso ha ragione.

Forse il problema con la trascendenza sta nel fatto che la maggior parte delle persone ha bisogno di vivere in un mondo di certezze e nega a se stessa che la certezza non può esistere. Forse viviamo negli anni in cui la maggior parte della gente soffre della sindrome della certezza, perché ha bisogno di vivere in un mondo che sicuramente rispecchia ciò che la sua percezione ha della vita, una gran parte della gente non può accettare il diverso o il cambiamento perché non può vivere nel dubbio, ha bisogno di credere che il mondo è come lo percepisce, esattamente e giustamente uguale a come lo percepisce, oppure sente il peso della responsabilità, della necessità di decidere, di scegliere, di essere se stessi. Ma se noi siamo qua, e grazie a Dio siamo qua, è perché il mondo si è evoluto e dunque è cambiato, speriamo solo che giunga presto il momento in cui cambiare si accompagna a braccetto con scegliere cosa, come, perché cambiare in questo percorso che non può non cambiare.

Nel percorso evolutivo della vita, della vita umana, io credo che noi stessi siamo il fenomeno biologico trascendentale che porta al cambiamento e non possiamo aver paura del diverso e del cambiamento, possiamo solo scegliere cosa vogliamo e dove vogliamo stare in modo cosciente e coscienzioso: dobbiamo scegliere. La vita si organizza e va avanti sulle basi dell' autopoiesi e non si può far finta che l'evoluzione non sia basata sul cambiamento e sull'adattamento. Dobbiamo solo scegliere a che cosa vogliamo adattarci, se a una vita robotica fatta di cattivi pensieri, paure, guerre e fratricidi o a una vita fatta di buone regole, curiosità scientifica, pensiero artistico, sana convivenza tra i popoli e le genti. La tendenza a cadere nel tranello della sindrome da certezza è fortissima, ma bisogna rendersi conto che ogni esperienza di certezza, di verità assoluta, è un fenomeno individuale, sordo all'incontro con gli altri, non è intenzionato a conoscere altri viventi, destinato a creare un mondo di solitudine. Perché io sono nel mio mondo certo e tu sei nel mio mondo certo e nessuno di noi vuole provare a mettere in discussione il proprio mondo e quindi, meglio soli.

La riflessione su se stessi. Guardarsi allo specchio e analizzare se nell'immagine che ci riflette c'è esattamente ciò che crediamo di essere. Il desiderio di conoscere se stessi senza paura di sbagliare o di essere giudicati, è ciò che ci permette di entrare in contatto con il nostro prossimo, riconoscerlo come altro da noi, apprendere dalle diversità tra noi e riconoscersi dalle cose che abbiamo in comune e accettare che ogni nuova relazione porta un piccolo cambiamento per ognuno di noi, nella percezione del mondo comune e del nostro stesso mondo. Riconoscere che questi cambiamenti sono ciò che hanno fatto di noi ciò che siamo. L'autopoiesi è la capacità di un complesso (unico e non spezzettato) sistema vivente, di mantenere la propria unità, integrità e organizzazione attraverso le relazioni e le interazioni tra tutti i suoi componenti. 

Non basta il cervello per vivere, serve anche il cuore, servono gli occhi, le orecchie, le dita delle mani e dei piedi, la colonna e tutto il resto.
Questo il mio pensiero rispetto alla vita, buona estate a tutti. Silvia


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